Steve Jobs: così lontano dall'iPhone 6

Per capire la rivoluzione sostanziale di Steve Jobs, scordiamoci l'iPhone, l'iPad e tutto ciò che inizia per i. Quello è marketing, oggetti banali e lucidi gettati nella mangiatoia del mercato globale. Per capire il vero genio rivoluzionario bastano le parole di un discorso alla Stanford University. Già, le parole, così diverse da un clic ma anche così capaci di essere eterne...

Probabilmente a molti parrà banale tirare in ballo Steve Jobs quando si vuole parlare di tecnologia. Perchè tutti dietro all’icona Jobs, ci mettiamo nel bene o nel male il progresso tecnologico, vero o supposto, mosso dall’industria Apple, e tutto il mondo “ I” conseguente: pod, phone, tablet. Però facendo come gli studenti che salgono sui banchi per cambiare la prospettiva delle cose, lo sviluppo fecondo, vero, che potrebbe essere portato da Jobs all’umanità non è scontato sia quello del culto imprenditoriale e la mercificazione dell’esclusività di mercato dei suoi prodotti, che rende i suoi sistemi magari straordinariamente innovativi e anche visionari ma in fondo anche un po’ ridicoli, a partire dal portare a trattare un telefono come se fosse diverso di quello che è, ovvero un telefono. Anzi, se guardi bene, le code fuori dell’Apple Store ad ogni “lancio” sono proprio il contrario del concetto di crescita perchè si sa, dove la massa va di corsa, il futuro se ne è già andato. Resta il fatto che Jobs ha lasciato davvero qualcosa di innovativo al di là della tecnologia. E se andiamo ben oltre all’universo “Jobsesco” che è stato dipinto, a partire dallo slogan “siate affamati e  siate folli” che come vediamo a parte non è neanche suo, se si deve parlare di crescita del pensiero umano, Steve Jobs ci sta benissimo, e in particolare, bene ci sta quello che può essere considerato il suo testamento morale, un’opera oratoria quasi perfetta, tanto da dubitare che una costruzione letteraria così equilibrata possa essere solamente sua. Stiamo parlando del discorso che Jobs fece alla Stanford University nel 2005. Un intervento di quattordici minuti e trenta secondi, che è una raffigurazione filosofica dell’esistenza, racchiusa in tre tappe. Jobs, nel giorno della sua laurea ad honorem, con alle spalle un intervento sul tumore al pancreas che considerava esaustivo ma non lo fu, a uno stadio pieno di neo-laureati raccontò il suo concetto di esistenza. Il creatore del sogno Apple  parlò dell’inutilità di una certa “istruzione” , e parlò anche della disperazione del fallimento ma anche della possibile vittoria della volontà e della forza della passione. E infine, quel giorno, Steve Jobs parlò della morte, indicandola come la migliore invenzione della vita. Perchè solo la certezza della nostra fine, può darci la voglia di cercare un senso  alla nostra esistenza.
Quel giorno, Jobs non fu lo Steve Jobs che il mondo conosce. Tanto che il dipinto delle sue parole, messo di fronte a quello “Apple” che costa tanto e quindi è elitario in senso “cretino”  e  al circolo chiuso di chi può permettersi qualcosa, anche di non capire ciò che ha in mano purchè lo compri, sembra l’esatto opposto. Il senso è che Steve Jobs, come ogni creatore, in fondo è innocente delle conseguenze reali delle sue opere, più o meno come quelli che, pensando di far progredire la scienza, inventarono la bomba atomica.

Insomma, Jobs all’inizio sognava il mondo del suo discorso, poi nella realtà del mercato il suo universo pare diventato  un’altra cosa. In fondo non è colpa sua, ma di chi il suo miraggio l’ha reso realtà e fatturato giorno per giorno, rendendolo così.
Unire i puntini…  è il primo paragrafo di Steve Jobs alla Stanford University.  Descrive la sua infanzia. Gli studi. La storia di un bambino adottato da genitori, che si sveneranno per mandarlo all’università. Ma quella raccontata dal creatore della Apple è anche la storia di un adolescente che scopre che i soldi che i suoi stanno spendendo sono inutili quanto è inutile il progetto che l’università ha per lui.
Qui, Jobs, fa intendere che oggi la scuola, così com’è, non serve. I corsi finalizzati, i percorsi di studio prestabiliti a raggiungere quella cosa chiamata laurea che in fondo non è sapere, ma il riconoscimento della società che tu sai ciò che il corpo docente vorrebbe tu sapessi, possono creare se va bene dei talenti omologati, non certo geni capaci di concepire il nuovo. Così, Jobs, dopo un anno mollò l’università e le sue prestigiosissime rette. O meglio, mollò quello che la scuola avrebbe voluto da lui e decise di frequentare i corsi che gli sembrava fossero interessanti. Insomma, lui “unì i puntini” dei suoi interessi disegnando un percorso di studio personalizzato, una via fra cultura del bello, e tecnica.
In pratica, alla base del Jobs creatore c’è  il rifiuto della scuola ufficiale. Le sue parole, sarebbero da appendere nell’atrio di ogni istituto scolastico con la stessa forza con cui esaltiamo la sua icona. Fatte leggere ai dirigenti e ai professori di ogni età e studio perchè la scuola di oggi, ahimè, non aiuta ad unire i puntini dell’esistenza. Confonde, riempie di nozioni, omologa, fa studiare a ragazzini quello che la nostra generazione studiava magari più avanti, mitizzando  la certezza della matematica ma allo stesso modo togliendogli la potentissima arma di essere diversi dalle generazioni prima. Insomma, toglie ai ragazzi l’arma della fantasia. La capacità e la forza di creare “storie” proprie, dei sentieri diversi dal cammino che “noi” abbiamo scritto per loro. L’impressione è che dalla nostra filosofia scolastica purtroppo non nascerà mai uno Steve Jobs. Manca la fantasia, manca la libertà. Peccato, perchè noi italiani quando siamo stati liberi di creare, abbiamo fatto sempre la differenza.
“Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa, ma non perdete la fede. Sono convinto che l’unico cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto, Dovete trovare quelllo che amate. E difenderlo con forza” Ecco, l’amore. La passione  che ha dato a Steve Jobs, licenziato dalla Apple che lui stesso aveva creato, la forza di ricominciare, ridisegnando e facendo crescere, con la Next e la Pixar, da una parte la geografia della tecnica e dall’altra quella della fantasia. Lo sviluppo, così, diventa una via del tutto umana, altro che tecnologia...
E poi, alla fine del suo intervento, compare il senso della morte, della fine. Steve Jobs che racconta della scoperta del cancro, l’impressione della sua incurabilità e poi invece la speranza. Steve racconta che ad un certo momento sentì di dover dire ai figli in poche settimane quello che pensava di insegnare in decenni.

La sensazione della fine imminente è raccontata da Jobs come il momento in cui l’individuo si sente più che mai “nudo”, perchè all’improvviso “sai che le cose che pensi di possedere non sono mai state veramente della tua vita”. Le perderai con l’ultimo respiro. Noi nasciamo nudi, e nudi ce ne andiamo.
Pensare che moriremo è il miglior modo che conosco di pensare di avere qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è motivo per non seguire  il vostro cuore.  
Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire seguire il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni di altri offuschi la vostra vita interiore. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo sanno dove volete veramente arrivare, tutto il resto è secondario.”
Probabilmente tutti i grandi uomini, se leggi la loro vita “reale”, non sono mai stati uomini “grandi”. Anche le loro creazioni, in  fondo, come ogni oggetto o essere vivente, hanno due facce, due aspetti. Un lato buono, un altro un po’ meno.
Ma i grandi uomini, diversamente dagli altri hanno meritato quell’aggettivo, “grande”, perchè hanno lasciato qualcosa di diverso, di rivoluzionario, rispetto a ciò che prima di loro era la vita. Chiamiamolo sviluppo, quello vero, però, che non lo si misura con la capitalizzazione ma con l’apporto di cultura. Per chi ci capisce di informatica e digitale, tutto sommato, niente del mondo Apple, preso singolarmente, è stata vera novità. Ciò che ha reso nuovo l’universo di Jobs è quell’intuizione filosofica che leggi perfettamente nel suo discorso. Un via esistenziale nuova. Da lì, dalle sue parole, potrebbe partire la concezione di un mondo diverso. Dal suo disegnare una scuola “altra” dal passato, dalla difesa e dall’entusiasmo della  libertà di sognare, dovrebbe vedersi la grandezza di Jobs e la speranza di crescita, di sviluppo, per  la nostra società. Da lì si dovrebbe partire, non dagli Apple Store e le file di “utenti” di  ogni “lancio” commerciale. Ma scommettiamo che, invece, domani...